Vi ricordate “Sliding doors”? (Aridaje con sto film!)… Si, insomma, la storia delle coincidenze, le porte della metro che si chiudono e in quello stesso istante la vita prende due strade. Ecco, io a Philadelphia ho sceso la scala mobile di corsa e per un soffio ho perso la coincidenza. E a questo punto sono più che sicura che la parte figa della storia, quella del “ma non ci credo!!!”, sia capitata all’altra, quella che poi si è fatta bionda.
Io e il mio shatush, invece, abbiamo pernottato in un hotel vicino all’aeroporto, in attesa del primo aereo disponibile, il mattino dopo.
18 giorni fa…
“Taxi? Ustedes necesitan taxi?”. Ammazza che caldo! L’uscita dall’aeroporto di Cancun promette bene: palme altissime, tanto verde eeeee…. sole che picchia in testa!
Andiamo dritti all’hotel a bordo di un colectivo, direzione centro, che a noi interessa stare a contatto con i mariachi. E infatti La Parrilla è la prima tappa serale: 5 sombreri viventi cantano, sorridono e tendono la mano… e così una mancia a te, te, te, te e pure te!
Meta successiva? A soli 20 minuti di barca c’è Isla Mujeres.
E che le vuoi dire? Niente! Quel tratto di mare, a Playa Norte, parla da solo e allora noi ci mettiamo comodi sul lettino ad ascoltare.
Ciao bei nuvoloni, come mai di primo pomeriggio già qui? Beh, pazienza, vorrà dire che i commercianti dell’isola vedranno entrare ondate di turisti prima del solito oggi.
Ben presto il sole è tramontato ed è ora di rientrare: 20 minuti ed è di nuovo Cancun. Ancora una cenetta nella zona del centro prima di svegliarsi la mattina successiva e prendere il taxi, destinazione Tulum.
La visuale sui grandi resort lungo la strada indica che la meta è vicina.
Una volta sistemati in hotel andiamo a visitare il cenote Crystal, non distante dal centro della città, ma lontano delle normali flotte di turisti che riempiono i cenotes più famosi.
Ci immergiamo in uno specchio d’acqua limpida, profondo 15 metri, e circondato da una vegetazione di un verde che più verde non si può. Io tento anche un tuffo dal trampolino di legno, che non mi da grandi soddisfazioni in termini di stile.
Di ritorno da questo spettacolo della natura, ci fermiamo per un mojito nel centro di Tulum. Centro… oddio, non vi aspettate il corso e la piazza e la chiesa. No: una strada dissestata, sovrastata da un tocco magico dato dal cielo al tramonto, e una schiera di bancarelle e negozietti pieni di oggetti di artigianato, dall’argento, al legno alla ceramica. Certo, considerando che gli ultimi decenni hanno visto una crescita del turismo locale, è facile ritrovarsi sommersi dai classici posacenere e parei, ma sono le collane, gli abiti ricamati e le tele dai disegni esotici a fare breccia nel mio cuore.
Un leggero languorino ci fa fare tappa al ristorante El Asadero. La carne messicana è davvero deliziosa e se poi l’accosti a delle fette di avocado e la trasformi in una tortilla ripiena, beh… il tuo palato ha trovato la pace dei sensi.
Il jet leg, le ore di viaggio ed il sole ci rendono più stanchi di quanto dovremmo. Buonanotte va, che domani si va a la playa. E che Playa… Paraiso!!! Una poesia fatta immagine! Alle 8.30 del mattino, poi, silenzio tutto intorno e un sole che… qui dove il mare luccica…
L’idea di fare snorkeling qui non è stata proprio grandiosa, non tanto per il diluvio che ci ha iniziati a fracicare ad appena un metro e mezzo dal bagnasciuga, quanto per i fondali un po’… poveri. Eh eh eh, qui abbiamo un po’ peccato caro Mar del Caribe, almeno finché la barca non ci ha trainati nuovamente verso la costa e messi di fronte al fatto compiuto (più o meno mille anni fa): un tempio Maya. Messo lì, bello e intoccabile, a picco sul mare.
Non dimentichiamoci che questo è l’ultimo giorno dell’anno! Quindi, dopo una visita al sito archeologico di Tulum, calpestando una scogliera emersa due milioni di anni fa, si torna in albergo e si va in cerca di un ristorante che (ahimè) chiuda alle 23.00 e ci lasci poi a brindare in un localino del centro. Un CIN CIN! che passa del tutto inosservato… Nemmeno un TREEEE, DUEEEE, UNOOOO… Niente, a loro non gliene frega niente. L’importante è avere una scusa per bere tanto, tutta la notte, ed essere giustificati il giorno dopo a lavoro. Tant’è che l’indomani nessuno avrà preparato i dessert al ristorante El Pequeño Buenos Aires, perché troppo ubriachi la notte prima. Questo locale argentino ci ha visti arrivare alla sera ben coloriti, dopo una giornata di sole trascorsa sulla spiaggia della zona hotelera di Tulum. Anche qui i colori non deludono, dal bianco all’azzurro. E poi una noce di cocco mi cade ai piedi… Presa! Taglio netto e cannuccia inserita… E chi se la lascia scappare!
Il giorno seguente è di nuovo un’immersione tra cultura e tradizioni: un’intera giornata trascorsa tra più di 1000 anni di storia. Le imponenti rovine di Chichèn-Itza. La scoperta delle loro usanze, dei loro giochi (che vai a capire che chi vince è fottuto! Mah!). I ballerini nel punto di ristoro con i loro vestiti colorati e i vassoi in equilibrio sulla testa. La cittadina di Valladolid, con le sue stradine in stile coloniale e la Chiesa di San Bernardino. Le costruzioni fatiscenti che spuntano sulla strada verso Merida , che di giorno si fanno tiendas e di notte tornano ad essere casas. Ed infine quello spettacolo naturale quale è il cenote Ik Kil, il cui specchio d’acqua accoglie a braccia aperte filamenti di piante tropicali.
Messa un altro po’ di carne in pancia e scolata una piña colada, si va a letto.
Pronti per una nuova trasferta a Playa del Carmen: mare agitato e onde alte questa volta. Il tempo non è dei migliori e nel primissimo pomeriggio la pioggia incalza nuovamente fino a creare un fiume d’acqua lungo la 5a Avenida e dintorni, che il bagno ce lo facciamo qui ormai. Costretti ad abbandonare questa cittadina dal timbro un tantino più europeo, torniamo verso il pueblo di Tulum dove continuiamo a guardare la pioggia che viene giù a badilate. Speriamo almeno che per domani abbia smesso.
Come no!
Ok, proviamo a spostarci di nuovo verso l’interno: fortuna che a
Coba non piove, così abbiamo modo di visitare la famosa città nella giungla, che purtroppo di selvaggio ha conservato ben poco. Forse l’informazione che un giaguaro si aggiri per la foresta rende il posto un po’ più avventuroso… ma dobbiamo stare tranquilli, ci rassicura la guida, la bestia non si avvicina se sente i rumori dei turisti.
Aaaaah beeeeeh allora!!!!!
Nuove rovine si palesano ai nostri occhi e il percorso in bicicletta ci conduce fino ad una piramide ancora più alta delle altre: 44 metri tutti da scalare. Salgo un gradino per volta e non mi volto fino alla cima, che mi riserva una vista mozzafiato: l’intera foresta sotto di me, la laguna all’orizzonte, abbasso lo sguardo e… E chi sa scendere adesso???
Uno scalino alla volta, lasciandomi intimorire pesantemente dalle vertigini e dalla pietra scivolosa, riesco a tornare nuovamente alla base con le cosce piene di crampi. Fortuna che faccio sport!
E’ tempo di rientrare, per l’ultima volta purtroppo, e rifare le valigie.
L’aereo all’indomani partirà a mezzogiorno. (Se, magari!). Slittato di un’ora ripropongo a Philadelphia la scena di Gwineth Paltrow e stavolta arrivo a prendere la coincidenza con la lingua di fuori.
Ma anche in questo caso nessun grande cambiamento ha sconvolto la mia vita.
Di nuovo a casa, con il mio lavoro, con il mio blog.
P.S. Le foto sono provvisorie, in attesa di ricevere quelle scattate da una macchina fotografica degna di essere chiamata tale.
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