Open

8 Feb

Ho trovato questo file nel mio computer, scritto più di un anno fa e mai pubblicato. Chissà poi perché? Lo faccio ora. Cambia qualcosa?

[14 Novembre 2013

Ore 19.00, gran parte della giornata è trascorsa. Manca solo la lezione di tennis. Il martedì sera vado a dormire con il borsone pronto e un pezzetto di carica in più e la mattina dopo ho ancora quella carica addosso, che mi accompagna per tutta la giornata.
Il tempo oggi è trascorso più o meno velocemente e dopo un’ora di numeri e percentuali, la riunione con il capo è planata, con una piacevole divagazione, sul concetto di “motivazione”.
Quella che quando ci voltiamo indietro dovrebbe essere sempre lì, dietro di noi, a seguirci come un’ombra.

Ma non è sempre così.

E il caso vuole che da un paio di giorni io abbia iniziato la lettura di un libro che riempie gli scaffali delle librerie già da un paio d’anni. Il passaparola ha fatto sì che le copie di “Open” sparissero a flotte da quegli scaffali e la “rivelazione” di Andre Agassi fosse in breve tempo sulla bocca di tutti.
open
Ecco, Agassi di giocare a tennis proprio non ne voleva sapere. Non ne voleva sapere, ma non lo diceva. L’ha detto dopo, lui. Alla fine di tutto. Dopo che i campi in terra rossa l’avevano visto protagonista di successi per un ventennio filato.

Il libro è adagiato sul divano, mancano ancora 300 pagine alla quarta di copertina, ma già al primo capitolo sono rimasta colpita da una passaggio dell’autore: “…la vita ti getta tra i piedi qualsiasi cosa, tranne forse il lavello della cucina, e alla fine anche quello. Sta a te evitare gli ostacoli. Se lasci che ti fermino o ti distraggano, non stai facendo il tuo dovere e non farlo provocherà dei rimpianti che ti paralizzeranno più di una schiena malandata”.
testo
Quasi volevo fare un orecchio a quella pagina, così da rintracciare subito il paragrafo all’occorrenza. Ma odio segnare i libri.

Ho riletto quel pensiero più di una volta e ciò che mi ha colpito di più, al di là del concetto in sé, è che a scriverlo sia stato un campione del tennis internazionale. Uno di quei miti che non immagineresti mai possa aver raggiunto tutto ciò che ha raggiunto con l’odio di farlo.

Agassi ha cercato una motivazione per portare avanti qualcosa che non amava, anzi odiava, fare. Quella stessa motivazione che non riusciva a farlo desistere dall’andare avanti.

Non è facile.

Credo che quello che conti, però, sia non cedere alla tentazione di permettere a qualcuno di dare un calcio alla nostra autostima. Far sì che il comportamento superficiale di una persona qualunque, che decide di mettere lo sgambetto al nostro cammino e non di porsi di fianco a noi per accompagnarci, sia solo uno stimolo a fare ancora meglio.

Ore 23.00, la giornata sta volgendo al termine. Vado a letto. Semplicemente buonanotte.]

Messico: il mare d’inverno (e non solo)

14 Gen

Vi ricordate “Sliding doors”? (Aridaje con sto film!)… Si, insomma, la storia delle coincidenze, le porte della metro che si chiudono e in quello stesso istante la vita prende due strade. Ecco, io a Philadelphia ho sceso la scala mobile di corsa e per un soffio ho perso la coincidenza. E a questo punto sono più che sicura che la parte figa della storia, quella del “ma non ci credo!!!”, sia capitata all’altra, quella che poi si è fatta bionda.
Io e il mio shatush, invece, abbiamo pernottato in un hotel vicino all’aeroporto, in attesa del primo aereo disponibile, il mattino dopo.

18 giorni fa…

“Taxi? Ustedes necesitan taxi?”. Ammazza che caldo! L’uscita dall’aeroporto di Cancun promette bene: palme altissime, tanto verde eeeee…. sole che picchia in testa!

Andiamo dritti all’hotel a bordo di un colectivo, direzione centro, che a noi interessa stare a contatto con i mariachi. E infatti La Parrilla è la prima tappa serale: 5 sombreri viventi cantano, sorridono e tendono la mano… e così una mancia a te, te, te, te e pure te!

Meta successiva? A soli 20 minuti di barca c’è Isla Mujeres.
E che le vuoi dire? Niente! Quel tratto di mare, a Playa Norte, parla da solo e allora noi ci mettiamo comodi sul lettino ad ascoltare.

Ciao bei nuvoloni, come mai di primo pomeriggio già qui? Beh, pazienza, vorrà dire che i commercianti dell’isola vedranno entrare ondate di turisti prima del solito oggi.

Ben presto il sole è tramontato ed è ora di rientrare: 20 minuti ed è di nuovo Cancun. Ancora una cenetta nella zona del centro prima di svegliarsi la mattina successiva e prendere il taxi, destinazione Tulum.

La visuale sui grandi resort lungo la strada indica che la meta è vicina.

Una volta sistemati in hotel andiamo a visitare il cenote Crystal, non distante dal centro della città, ma lontano delle normali flotte di turisti che riempiono i cenotes più famosi.

cenote

Ci immergiamo in uno specchio d’acqua limpida, profondo 15 metri, e circondato da una vegetazione di un verde che più verde non si può. Io tento anche un tuffo dal trampolino di legno, che non mi da grandi soddisfazioni in termini di stile.

Di ritorno da questo spettacolo della natura, ci fermiamo per un mojito nel centro di Tulum. Centro… oddio, non vi aspettate il corso e la piazza e la chiesa. No: una strada dissestata, sovrastata da un tocco magico dato dal cielo al tramonto, e una schiera di bancarelle e negozietti pieni di oggetti di artigianato, dall’argento, al legno alla ceramica. Certo, considerando che gli ultimi decenni hanno visto una crescita del turismo locale, è facile ritrovarsi sommersi dai classici posacenere e parei, ma sono le collane, gli abiti ricamati e le tele dai disegni esotici a fare breccia nel mio cuore.

Un leggero languorino ci fa fare tappa al ristorante El Asadero. La carne messicana è davvero deliziosa e se poi l’accosti a delle fette di avocado e la trasformi in una tortilla ripiena, beh… il tuo palato ha trovato la pace dei sensi.

Il jet leg, le ore di viaggio ed il sole ci rendono più stanchi di quanto dovremmo. Buonanotte va, che domani si va a la playa. E che Playa… Paraiso!!! Una poesia fatta immagine! Alle 8.30 del mattino, poi, silenzio tutto intorno e un sole che… qui dove il mare luccica…

playa

L’idea di fare snorkeling qui non è stata proprio grandiosa, non tanto per il diluvio che ci ha iniziati a fracicare ad appena un metro e mezzo dal bagnasciuga, quanto per i fondali un po’… poveri. Eh eh eh, qui abbiamo un po’ peccato caro Mar del Caribe, almeno finché la barca non ci ha trainati nuovamente verso la costa e messi di fronte al fatto compiuto (più o meno mille anni fa): un tempio Maya. Messo lì, bello e intoccabile, a picco sul mare.

Non dimentichiamoci che questo è l’ultimo giorno dell’anno! Quindi, dopo una visita al sito archeologico di Tulum, calpestando una scogliera emersa due milioni di anni fa, si torna in albergo e si va in cerca di un ristorante che (ahimè) chiuda alle 23.00 e ci lasci poi a brindare in un localino del centro. Un CIN CIN! che passa del tutto inosservato… Nemmeno un TREEEE, DUEEEE, UNOOOO… Niente, a loro non gliene frega niente. L’importante è avere una scusa per bere tanto, tutta la notte, ed essere giustificati il giorno dopo a lavoro. Tant’è che l’indomani nessuno avrà preparato i dessert al ristorante El Pequeño Buenos Aires, perché troppo ubriachi la notte prima. Questo locale argentino ci ha visti arrivare alla sera ben coloriti, dopo una giornata di sole trascorsa sulla spiaggia della zona hotelera di Tulum. Anche qui i colori non deludono, dal bianco all’azzurro. E poi una noce di cocco mi cade ai piedi… Presa! Taglio netto e cannuccia inserita… E chi se la lascia scappare!

Il giorno seguente è di nuovo un’immersione tra cultura e tradizioni: un’intera giornata trascorsa tra più di 1000 anni di storia. Le imponenti rovine di Chichèn-Itza. La scoperta delle loro usanze, dei loro giochi (che vai a capire che chi vince è fottuto! Mah!). I ballerini nel punto di ristoro con i loro vestiti colorati e i vassoi in equilibrio sulla testa. La cittadina di Valladolid, con le sue stradine in stile coloniale e la Chiesa di San Bernardino. Le costruzioni fatiscenti che spuntano sulla strada verso Merida , che di giorno si fanno tiendas e di notte tornano ad essere casas. Ed infine quello spettacolo naturale quale è il cenote Ik Kil, il cui specchio d’acqua accoglie a braccia aperte filamenti di piante tropicali.

ik kil

Messa un altro po’ di carne in pancia e scolata una piña colada, si va a letto.

Pronti per una nuova trasferta a Playa del Carmen: mare agitato e onde alte questa volta. Il tempo non è dei migliori e nel primissimo pomeriggio la pioggia incalza nuovamente fino a creare un fiume d’acqua lungo la 5a Avenida e dintorni, che il bagno ce lo facciamo qui ormai. Costretti ad abbandonare questa cittadina dal timbro un tantino più europeo, torniamo verso il pueblo di Tulum dove continuiamo a guardare la pioggia che viene giù a badilate. Speriamo almeno che per domani abbia smesso.

Come no!

Ok, proviamo a spostarci di nuovo verso l’interno: fortuna che a
Coba non piove, così abbiamo modo di visitare la famosa città nella giungla, che purtroppo di selvaggio ha conservato ben poco. Forse l’informazione che un giaguaro si aggiri per la foresta rende il posto un po’ più avventuroso… ma dobbiamo stare tranquilli, ci rassicura la guida, la bestia non si avvicina se sente i rumori dei turisti.
Aaaaah beeeeeh allora!!!!!
Nuove rovine si palesano ai nostri occhi e il percorso in bicicletta ci conduce fino ad una piramide ancora più alta delle altre: 44 metri tutti da scalare. Salgo un gradino per volta e non mi volto fino alla cima, che mi riserva una vista mozzafiato: l’intera foresta sotto di me, la laguna all’orizzonte, abbasso lo sguardo e… E chi sa scendere adesso???
Uno scalino alla volta, lasciandomi intimorire pesantemente dalle vertigini e dalla pietra scivolosa, riesco a tornare nuovamente alla base con le cosce piene di crampi. Fortuna che faccio sport!

E’ tempo di rientrare, per l’ultima volta purtroppo, e rifare le valigie.

L’aereo all’indomani partirà a mezzogiorno. (Se, magari!). Slittato di un’ora ripropongo a Philadelphia la scena di Gwineth Paltrow e stavolta arrivo a prendere la coincidenza con la lingua di fuori.

Ma anche in questo caso nessun grande cambiamento ha sconvolto la mia vita.

Di nuovo a casa, con il mio lavoro, con il mio blog.

P.S. Le foto sono provvisorie, in attesa di ricevere quelle scattate da una macchina fotografica degna di essere chiamata tale.

Lezione di “Psicologia applicata” (allo shopping)

24 Dic

(Una settimana fa…)

L’orologio segna le 18.00 ed io sono già fuori dall’ufficio.
Manca ancora un’ora e mezza prima che i negozi del centro di Bologna abbassino le serrande ed io, per quel brandello di pomeriggio, mi sono data una missione: comprare un cappello di lana. Che non si capisce dove siano sepolti tutti quelli acquistati negli ultimi inverni.

Quindi, le parole chiave sono: UN (la quantità) e CAPPELLO (l’oggetto).

Pronti, via!

Appena cento metri dopo ho mani e faccia spiaccicati contro una vetrina di Via Farini.

vetrina

Ed è subito problema: in quella vetrina non figura alcun cappello di lana, bensì DUE (e ho già sballato) STIVALI (e ho risballato).

I problemi aumentano in un batter d’occhio: il budget che avevo destinato all’oggetto della missione non può neppure lontanamente coprire quello delle calzature in questione. Ma manco per niente.

Però, come dire… i saldi sono vicini, la tredicesima pure (che con il pensiero l’ho già spesa 3 volte)… e allora, dai, intanto potrei provarli, per poi pensarci su!
Si, si, si! Mi conosco, posso farlo.

Entro.
Chiedo il 38.
Mi spiace, mi risponde la commessa con l’espressione sensibilmente rammaricata e le mani giunte, il 38 è terminato.
Oh, vedi!? Problema risolto. Ringrazio e mi volto per uscire.

La porta scorrevole del negozio è già spalancata, quando… Aspetti! La voce. Della commessa. La sento. Dice a me?
Si, ho un 38 messo da parte per una persona che non è più passata. Posso farglielo provare.

La mia bocca sorride, la mia mente pensa CACCHIO!

Sfilo i miei stivali con la consapevolezza che, prima dell’inizio dei saldi, è l’ultimo 38 disponibile. Indosso quelli nuovi con l’altra consapevolezza che sono davvero belli. Come se non bastasse ci provo anche un abito color rossomodadiquestanno, che alla fine il total look è una bomba. Ho pure i capelli stranamente in ordine e la faccenda non aiuta.

Toh, guarda qua!

stivali

Ma sono una persona forte. Se ho detto che li provo, li proverò e basta.

Non faccio in tempo a dire alla commessa che ci penserò su, che lei mi guarda e pronuncia queste parole: Ti trovo dimagrita dall’ultima volta!
Ogni sforzo a quel punto è inutile. Il mio bancomat sta già strisciando in autonomia sul pos.

Quelle parole appagherebbero una magra di default, figuriamoci una che l’unica persona che continua a definirla costantemente secca è sua nonna, dopo 3 interventi di cataratta.

Va bene, cara commessa, tu ti sarai pure guadagnata una laurea in psicologia honoris causa, ma io sono sicura di aver fatto la scelta giusta.
D’altronde a mente fredda si ragiona meglio.
E la mia, senza cappello, è rimasta al gelo!

Cambiamenti

21 Dic

cambiamenti

20 Dicembre.

Ore 18.25. Spengo il computer.

Quest’anno per Natale l’ufficio chiude prima del solito. Dovrei esserne contenta. Tra l’altro mi aspetta un countdown al nuovo anno alternativo… Wow, non vedo l’ora di partire!

Il taxi che mi porterà in stazione sarà qui in 5 minuti, così mi affretto nello scendere le scale ed infilarmi il piumino… Mentre mi chino per tirare su la cerniera, d’improvviso, un magone riempie lo stomaco e sale fino agli occhi… Le luci degli uffici sono spente, gli scuri tutti chiusi. Di colpo, affiora la consapevolezza che 5 anni sono passati, che, salutata la Befana, prenderà piede una nuova quotidianità, che sarà bella lo stesso, ma non sarà la stessa.

Lunghe settimane piene di attese e cambiamenti, concluse con una serata passata insieme per farci gli auguri: l’amara consapevolezza di chi già immagina che ai prossimi ritrovi, seppur a base di tortellini e tagliatelle, verrà meno quel sapore di intimità e confidenza gustato negli ultimi anni.

Ore 21.00. Ok, la botta di malinconia sta prendendo il sopravvento… Cerchiamo di pensare ad altro… E d’un tratto i miei pensieri sono interrotti: “Biglietti, prego”. Ecco, bravo. Ottima idea.

Nomi, cognomi e soprannomi

7 Dic

Ogni qual volta devo lasciare il mio cognome a qualcuno, la prima reazione che questo groviglio di lettere suscita è un’esclamazione interlocutoria del tipo…. COME??????
Ad esempio: “Pronto Pizzeria. Ok, una margherita e una patate e salsiccia. Indirizzo? Cognome? …..COMEEEE??????”
E questo è solo uno dei casi, ma ce ne sarebbero molti altri.

Vogliamo parlare del mio indirizzo mail del lavoro? E’ di quelli classici: nome.cognome. Ecco, la lunghezza del cognome in questo caso manda l’interlocutore in confusione, generando una reazione del tipo: “TUTTO ATTACCATO?”. Che io dico… si è mai visto un indirizzo mail con gli spazi in mezzo? Appunto.

Anche la targhetta del citofono mi hanno sbagliato. C’è un punto al posto di una “i”. (E lasciamo perdere l’elasticità mentale dimostratami da chi, quando l’ha notato, mi ha domandato se il postino mi lasciava ugualmente la posta).

baby

Adesso, voglio dire, si tratta di 14 lettere, mica di un endecasillabo dantesco.

E allora mia madre, che le madri sono sempre previdenti, quando nacqui ci diede subito un taglio. Si, con un nome breve. Che in 5 lettere fa la sua gran bella porca figura.
E’ tutto lì, non puoi abbreviarlo perché è già corto. Anzi, al limite puoi allungarlo, aggiungendoci un vezzeggiativo tipo “ina” o “etta” o “ottola”.

Già, perchè, paradossalmente, se hai un nome corto vedrai che trovano il modo di allungartelo. Se ce l’hai lungo, si trasforma subito in un diminutivo.

Al nord, no? Al nord per esempio storpiano tutto.
Ti chiami Lorenzo? Ecco, nessuno dei tuoi amici ti avrà chiamato con quel nome per più di 3 volte in vita tua. Anzi, se ti chiamano con il tuo nome manco ti giri… tu per tutti loro sei LOLLO. E ti hanno convinto a tal punto che perdi pure tempo a cercare Lollo sulla lattina della Coca Cola e sul barattolo di Nutella.

lorenzo

Ma anche i cognomi da queste parti subiscono spesso delle trasformazioni, diventando più fighi, più internazionali. Il mio è stato pragmaticamente sintetizzato in 5 lettere.

Al sud , invece, la tradizione vuole che tu abbia due nomi, come minimo. Pure tre, se non è troppo disturbo.
Il primo nome? Scordatelo! Tu sarai chiamato con il secondo, tra l’altro quello più brutto che sono riusciti ad appiopparti. Un nome tramandato per decenni, che alla fine vi chiamate tutti uguale.

Per concludere, io ho il nome di mio padre, al femminile. Frutto di uno stratagemma materno per ovviare a delle scelte che mi sarebbero costati minuti preziosi di spelling.
Un escamotage che mi ha permesso di trarre più di un vantaggio: da piccola ero l’unica bambina ad avere una carta intestata (mi bastava taroccare quella di mio padre, aggiungendo una zampetta alla “o” finale) e tutti gli anni il giorno del mio onomastico si concludeva con uno scambio di regali tra me e il mio vecchio.
Puntualmente lui comprava un regalo a me e io chiedevo a mia madre di comprarne uno per lui.
Eheh, c’ho il cognome lungo io! 😉

Non mi fermo qui da un po’ di tempo…

11 Ott

… e non nascondo che l’idea di aver trascurato questo spazio mi infastidisce un pò. Non so, poi, se ho motivi che possano giustificare questa mia assenza.

Forse il fatto che per mesi la mia vista arrivava a fine giornata molto affaticata è stato solo un alibi, che nascondeva uno stato di pigrizia, momentaneo.

E così ho smesso di scrivere… per un po’.

Forse perché non sentivo il bisogno di farlo.

Forse perché nuovi interessi hanno preso il sopravvento, o forse perché non ho trovato negli ultimi eventi i giusti spunti… come se la quotidianità non fosse stata degna di diventare in questi mesi fonte di ispirazione.

Forse perché la giornata finisce sempre troppo presto… che una volta strisciato il badge devi decidere se dedicare il tempo libero a prepararti una cena degna di essere chiamata tale, agli amici, ad un libro, ad un film, o al ferro da stiro.

Forse perché delle sere hai solo voglia di sdraiarti sul divano, con gli occhi rivolti al soffitto, e pensare a tutto (e niente), mentre qualche voce proveniente dalla tv cerca di catturare invano la tua attenzione.

pensieri

Poi d’un tratto torni a casa da una serata con gli amici e avresti voglia di scrivere tutto… e non aspetti neppure di accendere il computer. Apri al volo un taccuino che credevi immacolato e ti sorprendi di trovarci appunti ed indirizzi sparsi, che in un attimo ti riportano con la mente al periodo in cui cercavi casa con la tua amica F.

Sullo spazio bianco uno scroscio di parole viene giù. Un pensiero dopo l’altro, scritto male e tutto di fretta, che hai paura che ti sfugga. Come un musicista che annota una melodia che rincorre da tempo. (Vabbè, magari un pò meno, eh!).

ispirazione

Così queste righe sono venute di getto.

All’una di notte.

Forse perché è adesso che di scrivere ho bisogno.

Il meggings: la nuova frontiera della moda maschile

11 Gen

La settimana del Pitti Uomo è appena giunta al termine e l’argomento moda maschile è da giorni sotto gli occhi di tutti per il susseguirsi di immagini ed articoli che invadono le pagine di riviste e siti web e che raccontano le novità sul tema per l’anno appena cominciato.

Tra queste, una in particolare mi ha colpito, come un pugno in un occhio. Parlo del meggings.

Quando ho letto il termine meggings per la prima volta, devo essere sincera, ho pensato subito ad un refuso. La parola, però, si è poco dopo ri-palesata ai miei occhi e, a quel punto, la fronte si è corrucciata in automatico. Poi, alla prima immagine chiarificatrice, il mio volto ha assunto un’espressione decisamente artistica… da “Urlo” di Munch.

urlo

Avevo appena realizzato che, il meggings, mio malgrado, esiste.

Ma andiamo per punti. Cos’è un meggings? E da dove viene?

Il neologismo matcha semplicemente le parole “men” e “leggings” ed identifica il nuovo indumento maschile, che, dopo essere spopolato negli States, grazie al contributo di star del mondo musicale, sta facendo il suo ingresso in Europa.

Ebbene si, parliamo di un fuseaux, un collant coprente privo di piede, che ormai sembra non potersi più considerare icona distintiva del guardaroba femminile.

sfilata

Al di là della fatica che faccio nel trovare un minimo di appeal nell’immagine di un uomo in fuseaux seduto a cena di fronte a me, qualche altro dubbio mi perplime.

Non mi stupirei infatti, se, tra qualche mese, leggessi di un eventuale meggings push-up. Che non vorremo mica che a questi maschioni venga il complesso del sedere basso?!?!

Ora, va bene sconfinare, oltrepassare i limiti, ma cerchiamo di conservare un minimo di buon gusto. Maschi, godetevi le vostre esclusive, che noi pensiamo alle nostre. Voi tenetevi, chessò, la canottiera della salute a costine bianca (che quella non ve la tocca nessuno) e noi ci teniamo i leggings, che non fanno per voi.

Le attillature lasciamole semmai a chi è del mestiere e sa farne buon uso: i danzatori, ad esempio.

Che quando, qualche settimana fa, ero seduta nella platea dell’Europauditorium per assistere al balletto di “Romeo e Giulietta”, ho di certo ben apprezzato i contorni muscolari del Montecchi, disegnati sotto centimetri di lycra elasticizzata. Quella, signori miei, si chiama armonia. Lì, la totale aderenza è la benvenuta, perché si fonde con il movimento e diventa parte integrante di esso.

danzatore

Che dire… Io, per adesso, mi auguro che il meggings ci ripensi, che faccia un passo indietro insomma, onde evitare di fare la stessa fine di qualche suo predecessore: il jeans informe a vita alta, ad esempio, che ogni tanto fa capolino da qualche album fotografico degli anni ’90.

beverly

E infine, uomini, mi appello a voi: non attillatevi fino alle ossa, vi prego! Lo slim-fit è già un giusto compromesso. Voi siete così belli perché larghi, comodi. Che quando restiamo a dormire a casa vostra, e la cosa non è programmata, amiamo (e amate) metterci addosso le vostre t-shirt, le vostre camicie e le vostre tute così confortevoli…

Beh, ad ogni modo siete avvisati: io, con questi, non ci dormo neppure a casa mia!

meggings blu

77: le gambe delle donne

4 Gen

Mimmo: Allora vabbè, dimme ndo stanno ste carze.
Nonna: Dentr’aa borza nera. C’è pure er borotalco.
Mimmo: Er borotalco?
Nonna: E sinnò mica entrino!

(tratto dal film Bianco, Rosso e Verdone – Regia di Carlo Verdone – 1981)

La scelta delle calze, a mio avviso, costituisce un vero e proprio dramma per il mondo femminile.

Recentemente si è sviluppata sempre di più la tendenza a non indossarle durante l’inverno. In effetti, la gamba nuda infilata nello stivale è qualcosa di estremamente sexy. E se non fosse per quei lassi di tempo che intercorrono tra l’uscita dalla macchina e l’entrata nel locale e tra l’uscita dal locale e l’entrata in un altro locale distante 15 minuti a piedi, quando il termometro non si sposta dagli 0° C, questa costituirebbe la soluzione ideale.

Non tutte, però, siamo in grado di “inCarrierci” (che Carrie, al primo appuntamento con Big, mi indossava un abito a sottoveste color nude, un paio di sandali e la pelliccia… n’altro passo per intenderci!).

Carrie

E allora ecco che a venirci incontro ci pensano le autoreggenti.

autoreggenti

Uhm. Si. Belle, per carità. Arrapanti pure, finché aderiscono alla gamba affusolata del manichino. Quando invece la coscia è la tua, ed è un minimo in carne, fai l’effetto salsiccia strangolata. E non è bello.

Pertanto, cosa ci resta? Ad un passo dal baratro spuntano fuori i leggings. Spopolati negli anni ’80 e tornati alla ribalta da qualche anno, si sono palesati nei nostri armadi sotto varie forme e tessuti: dalla microfibra, alla lana, alla pelle effetto rock (o sadomaso). Di norma molto coprenti, lasciano il piede nudo e ti permettono di giocare con sovrapposizioni di calzini corti, calzettoni e parigine. I leggings rappresentano dunque un buon compromesso per affrontare il freddo inverno.

leggings

Quello che invece ci conduce dritte dritte verso il più irrisalibile abisso è il vecchio “amico” collant! Che sia nero o a fantasia, velato o 60 denari, color carne o a rete, finché resta nascosto sotto un abito o infilato in un paio di tacco 12, abbiamo ancora qualche minima chance di spacciarlo per qualcosa di sexy, ma quando la gonna o l’abito scivolano verso il basso e l’assenza delle scarpe ci ha ormai fatto tornare con i piedi per terra, ecco che…. PAM! Il danno è tratto!

Quell’indumento che dal basso ventre corre, aderente e senza paura, lungo la coscia ed il polpaccio, fino a raggiungere la punta delle dita dei piedi, rappresenta la morte biologica per qualsiasi tipo di fantasia.

E se, puta caso, ti trovi in fase di approccio seduttivo, dovrai essere abile nello sfilare gonna e calze in un sol colpo, altrimenti sarai inesorabilmente destinata ad abbandonarti a quell’attimo di totale imbarazzo. Che poi ti tocca recuperare. Poi.

D’altronde, qualche arguto, a suo tempo, mise a punto quella ormai nota tabella che vediamo riproposta sul retro delle confezioni dei collant, al fine di individuarne la giusta taglia: se la tua altezza va da 1.60 a 1.70 e il tuo peso oscilla tra i 50 e 60 kg ti tocca la 2° misura.

tabella

Risultato: io che sfioro la vetta del metro e sessantatrè (scritto a lettere mi slancia) sono costretta a stendere per bene la calza fino a far risuonare lo schiocco dell’elastico appena sotto il seno: a mò di taglio imperiale per intenderci (alla faccia della vita bassa!).

Il collant, inoltre, ti pregiudica una serie di altre situazioni: l’uso della canotta ad esempio. Se decidi di non rinunciarvi, seppur per il bene dell’umanità maschile, te la devi infilare dentro l’elastico, che altrimenti scappa e si arrotola tutta sotto il vestito.

Infine il collant ha lo stramaledetto vizio, mentre cammini, di scivolare verso il basso e ti ritrovi puntualmente il cavallo a metà coscia. Comodo! Ma soprattutto ti permette di esprimere al meglio la tua femminilità nel tentativo di riposizionarlo a dovere.

“Io odio i collant”, disse la mia amica Y. qualche giorno fa, mentre ci affrettavamo a raggiungere la macchina posteggiata nel parcheggio dell’Ikea. Non c’è stato bisogno che le chiedessi perché, nè di aggiungere altro. Il post è venuto di getto.

Camerino che vai, umore che trovi!

13 Dic

Tutto comincia quando varchi le soglie di alcuni negozi durante la pausa pranzo, quelli a portata di mano e che non mettono più di tanto a rischio il tuo portafoglio.

Tutto comincia da lì.

Entri, inizi con il dare uno sguardo ai vari stand, sposti le grucce e poi ZAC! Sei in trappola!

Incappi in quell’abito che ti chiama con una vocina che pare la particella di sodio dell’acqua Lete: costo pocooo, provamiiiiii!!!!!

particella

E vabbè, proviamo!

Ti dirigi verso i camerini e già che ci sei afferri al volo un altro paio di capi, che non sta bene entrare con un solo pezzo!

In men che non si dica sei alla resa dei conti. Tu, tutta gnuda, come mamma ti partorì, davanti a lui: lo specchio di ZARA!

Dio mio, che angoscia.

Quella luce bianca sparata tutta addosso a te, come un occhio di bue nel pieno di un monologo teatrale, non lascia scampo ai difetti, micro e macro, del tuo corpo: brufoli, pori dilatati e cellulite, tutto in un colpo solo!

A quel punto, l’unica via di fuga è sperare che almeno quello spudorato fac-simile d’alta moda cada casualmente bene sul tuo corpo. Già, perchè in quei posti lì, la convenienza è un must, ma la vestibilità è un optional!

Così, mentre ti sforzi di dare il giusto peso alla faccenda, un velo di sconforto scende già sul tuo volto, che per correre ai ripari dovresti avere il tempo di schizzare da H&M e rifletterti in uno di quegli specchi annulla taglie, con i quali, nel giro di un attimo, diventi alta, magra e pure con una piega di capelli fantastica!!!

camerino

(Chi ha inventato quegli specchi, ha capito tutto della vita e soprattutto delle donne!).

Ma noi, femmine razionali e dotate di un minimo di intuito non ci facciamo infinocchiare così facilmente.

Pensiamoci bene: in quale occasione capiterebbe di mostrare in pubblico, e per di più al cospetto di un maschio, quella che noi riteniamo, in uno slancio di autostima, una fonte di ribrezzo?

Pensiamoci bene: mai.

Intanto, a qualcuna di voi è mai venuta la brillante idea di dare un appuntamento ad un ragazzo dentro al camerino di Zara? Non credo proprio! Quindi, pericolo n° 1, scampato.

Sono davvero rare, a mio avviso, le occasioni in cui il proprio corpo possa essere posto così “in luce” come in quelle malefiche stanzette larghe un metro per un metro: già quando ci saremo rifugiate nelle nostre casine, ci accorgeremo che la tragedia è ridimensionata. Perché noi in casa abbiamo specchi normali e luci normali.

Anche in estate, il periodo in cui siamo più svestite ed in piena luce, ci sentiamo decisamente più a nostro agio, che dddaiiiiiii…. lo sappiamo che abbronzate e frù frù facciamo un gran bell’effetto!

Infine: c’è in vista un appuntamento romantico? Beh, al 99% sarà di sera. Inutile ricordarvi che le luci soffuse sono d’obbligo. Si, per l’atmosfera, chiaro!

E sei poi dal soffuso si passa alle luci spente, beh, capisc’ a me… vuol dire che non c’è poi di che preoccuparsi!

Grazia.it: “Blogger we want you!” – “Chi? Io?!”

28 Nov

PASSATO

“Carlè, è meglio che lo cambi un po’ perché si capisce che l’hai copiato”.

Era al compito di italiano lasciato sul tavolo della cucina che mia madre si riferiva: un commento sull’ultimo libro che avevo letto. Io, che a quell’epoca frequentavo la prima media, la fissai per un attimo con la fronte corrucciata, ma immediatamente dopo la ringraziai perché, in sostanza, mi aveva appena fatto un complimento.

PRESENTE

“Art is a way of survival” diceva… CHIIII??? No, ma quale William Shakespeare! Quale Oscar Wilde! L’ho letto semplicemente su una t-shirt di Zara sistemata sullo scaffale dello store in Via Indipendenza. Fonte di ispirazione: Yoko Ono.

Dicevamo, l’arte è un modo per sopravvivere. E la scrittura è arte. Così, poco meno di due mesi fa, ho aperto questo blog.

L’ho fatto prima di tutto per me, perché scrivere mi piace, ma soprattutto mi diverte!

Trovo entusiasmante poter condividere virtualmente la propria esperienza con quella altrui. Se poi lo facciamo con un velo di sarcasmo ed ironia, tanto meglio!

L’ironia, l’IT che ognuno di noi dovrebbe avere per affrontare al meglio la vita: ci rende affascinanti e non costa niente.

Il blog parla della vita di tutti i giorni, la mia e quella degli altri. Prende spunto dal quotidiano per raccontare un mondo a pois, alla moda per definizione, vario, colorato, attuale.

Un blog che parte dai miei interessi, lo sport, il cinema, il teatro, la tv, i libri, il mondo del web, legati tra loro da un fil rouge “sentimentale” (non riesco a farne a meno!!!).

Proprio quell’IT-Experience che Grazia.it urla nel suo manifesto.

Il mio intento? Liberare i miei pensieri e farvi trascorrere, ad ogni post, 5 minuti di spensieratezza.

FUTURO

Ora ho la possibilità di decollare con Grazia.it ed il suo progetto di blogger-hunting.

grazia

Blogger: we want you! E se volessero proprio me?

Io ci starei, eccome!!! Scrivere su argomenti di Lifestyle su un sito che è espressione di femminilità, attualità e non solo. Il sito dal quale amo prendere spunti per coltivare i miei interessi… che sogno!!

Cosa potrei volere di più dalla vita? Un lucano l’ho già avuto. 🙂

Aspetto bramosa i vostri consensi sul sito Grazia.it!